Taormina. “Architettura come mass medium: parole, forme e numeri” è stato il titolo del tema trattato da Elisabetta Pagello nell’ambito del programma riservato al service della “cultura eletta” dal Kiwanis Club Tauromenium Valle Alkantara, ospitato nella sede dell’Associazione degli Amici dell’Arte : la Relatrice, laureata in Architettura a Venezia, e perfezionatasi in Storia dell’Architettura antica presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene, è stata titolare dei corsi di “Storia dell’Architettura Antica e Medievale” presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Catania. “Le storie dell’arte (del fare) – ha premesso la Pagello – si sono spesso limitate a considerazioni critiche di tipo estetico. Già Vitruvio, però, aveva indicato che nel fatto artistico sussistono due fattori: la ricezione di un significato e la comunicazione di questo significato: lo sviluppo degli studi linguistici ha aperto un nuovo percorso critico portando a riconoscere l’importanza dei segni anche nelle espressioni non letterarie. All’interrogativo “cosa è l’arte” si è dunque sostituito l’interrogativo “che cosa significa l’arte”? Tuttavia, – ha spiegato la Relatrice – per comprendere il messaggio/ significato che un fatto architettonico esprime – messaggio voluto dal committente e al quale l’architetto ha dato forma – è necessario conoscere i codici linguistico-espressivi propri dell’epoca nel quale è stato realizzato. Un tempo il pensiero collettivo era educato a riconoscere la corrispondenza idea/immagine; questa capacità è venuta meno quando le esigenze funzionali hanno prodotto grandi quantità di edifici “standardizzati”: Oggi molte fabbriche denunciano la propria funzione attraverso le loro forme (un condominio, una stazione ferroviaria, un centro commerciale, un teatro…) ma non il messaggio, spesso politico, come avveniva per il passato … quel messaggio che spesso interveniva anche con temi suggeriti dalla filosofia”. Nella sua dettagliata esposizione di Studiosa di Architettura e non solo, la Pagello ha ricordato che “…negli edifici di culto subentravano altri “segni”: forme geometriche, numeri, orientamento e uso della luce richiamavano concetti anche teologici, indicavano funzioni, celebravano il committente; erano utilizzati dall’architetto nel progetto, ma erano riconoscibili dai fruitori che possedevano gli strumenti culturali per decodificarli… anche in tempi più o meno recenti l’edilizia civile celebrativa si è espressa con forme grandiose, elementi a rilievo e iscrizioni che chiaramente comunicavano il messaggio politico”. “Se al fatto artistico – ha concluso la Relatrice – è sottratto il messaggio/segno del committente o dell’ambito culturale che l’ha voluto, se ne perde la ragione d’essere, si limita il giudizio – e la comprensione – ad un mero “è bello/è brutto”.