Messina. Quando si parla di viaggi pensiamo a mete esotiche o vacanze culturali, ci sono invece delle esperienze in cui si va incontro a fatica, sudore, freddo, privazioni. Può essere il caso di un trekking in Nepal, tra le vette della catena dell’Himalaya, luogo che custodisce i giganti della terra.
Perché si fanno queste scalate? Perché si cammina così tanto da far sembrare il tutto più una punizione che un viaggio di piacere? Forse per dimostrare qualcosa a se stessi, spesso agli altri, per il gusto della sfida.
Lo racconta il videomaker messinese Matteo Arrigo, in un documentario prodotto sul campo, realizzato durante la sua scalata fino al campo base dell’Everest, a 5364 metri, ultimo avamposto per chi vuole raggiungere la vetta della montagna più alta del mondo.
Ben 150 km tra monasteri buddisti, villaggi, ghiaccio immacolato, la spiritualità e l’ospitalità del popolo delle montagne. Otto giorni di cammino, una battaglia contro le temperature gelide, la mancanza d’ossigeno, il mal di montagna. La sfida di 16 ragazzi che non si conoscevano prima di ritrovarsi a Katmandu, zaino in spalla per intraprendere insieme il percorso tra le vette innevate, montagne che incutono timore e rispetto. Quello che può sembrare un folle capriccio ma che scopriremo nasconde dei risvolti per ciascuno di loro, storie toccanti, sorprese, condivisione, lacrime, rivincite, lati in comune.
Il docufilm “La montagna più alta” lascia un messaggio che può essere riportato dalla scalata alla vita quotidiana.
“Da ragazzino ero una persona abbastanza timida – racconta l’autore – essere riuscito a fare il videomaker e il giornalista, dove si è sempre a contatto con la gente, mi ha cambiato radicalmente. Quando anni fa ho cominciato a fare questo lavoro, lo spiegai a mio nonno, il quale con i suoi 90 anni non credo capì molto, ma mi rispose con un proverbio siciliano: a muntagna chiù jiatu è u bisolo da potta, la montagna più alta da scalare è l’uscio della propria casa. Anni fa non sarei mai partito con degli sconosciuti, il viaggiare mi ha aperto alla tolleranza, allo scambio, ha abbattuto la mia timidezza. L’Himalaya è stata l’ennesima conferma di questo, l’ho fatto per mettermi alla prova e mi sento privilegiato, perché la più grande montagna del mondo mi ha mostrato i miei limiti, le mie paure e i miei obiettivi. Il principio è lo stesso, che siano sentieri reali o della vita. Bisogna inseguire la propria meta e avere il coraggio di perseverare, anche di fronte alla sconfitta, che è parte fondamentale di qualsiasi tentativo, oltre u bisolu da potta, qualunque sia il vostro sogno”.
Il documentario verrà proiettato per la prima volta sabato 11 maggio all’ auditorium San Gaetano nel villaggio di S. Stefano di Briga, inizio alle ore 21.
Matteo Arrigo è un videomaker professionista, giornalista e documentarista. Ha realizzato diversi reportage in giro per il mondo, dalla Palestina a Chernobyl. Da alcuni anni collabora con il Centro di Cardiochirurgia Pediatrica di Taormina, con i quali è stato in missione umanitaria anche in Iraq, Libia, India, Tanzania.