“E’ consigliata la visione ad un pubblico adulto e razzista”. Il regista catanese Alfredo Lo Piero ama le provocazioni culturali e, in questo caso, anche sollecitare l’opinione pubblica prevalente in queste settimane. Il suo ultimo docufilm “La libertà non deve morire in mare” ha fatto e farà discutere. Domenica 15 luglio, alle ore 18,00, sarà presentato nel Palazzo dei congressi di Taormina nell’ambito del Filmfest
“Già presentato a Toronto, Los Angeles, Cannes, Olanda, Svizzera, ha intimorito le più importanti vetrine cinematografiche mondiali, vietandone la proiezione – racconta Lo Piero – fastidiose verità, cattiverie e pregiudizi sulla pelle di anime senza colpa, se non quella di essere nati su sponde opposte. E’ un documentario politicamente non corretto, forse perché troppo umano, credo che i nostri ministri particolarmente attivi sul fronte dell’immigrazione non vorranno vederlo. Ma le riprese, le interviste, le testimonianze non filtrate, frutto di due anni di lavorazione, sono tutte autentiche e sono state effettuate, a Lampedusa, in un clima politico diverso da quello attuale. Il film è dedicato ai migranti e a tutti coloro, uomini e donne, militari e civili, che nel Mediterraneo operano per salvare vite”, sottolinea il regista che ha realizzato il film con Scuola di cinema a Catania, affidandone la distribuzione all’indipendente Giovanni Costantino che lo proporrà nelle sale a partire dal 27 settembre.
LA TRAMA:
Si parla spesso di immigrazione in termini di cifre: il computo statistico dei vivi e dei morti. Chi ce l’ha fatta e chi no da questa parte di mare. Ma dietro l’asetticità dei calcoli restano le storie, le vite, i sogni spezzati e altri ancora da inseguire, che nessun giornale al mondo racconterà mai fino in fondo e come si deve. Si parla e si scrive tanto di immigrati: se ne parla nelle televisioni e se ne scrive sugli organi di stampa. Aldilà dell’abuso tematico – e delle sue ricadute sul sociale – vogliamo continuare a pensare ai vissuti che stanno dietro le facce spaurite e le braccia tese delle foto sugli schermi e sui giornali. Vogliamo pensare alle lacrime e ai sorrisi, alla speranza e alla paura delle persone migranti, spogliati dallo status di oggetto di cronaca.
“La libertà non deve morire in mare” nasce, in qualche modo, da questo pensiero. Dalla volontà di restituire voce a chi, sin qui, non l’ha mai avuta o ne ha avuta poca. Con questo docu-film andiamo alla ricerca di facce e voci denudate anche dalle esigenze delle fiction cinematografiche. L’intento di “La libertà non deve morire in mare” è documentaristico. Nel senso più spoglio, verista, autentico che si riesce ad assegnare a questo termine. Davanti le telecamere ci sono persone che parlano e dicono ciò che vogliono dire. Persone che sono fuggite da qualcuno o qualcosa ed altre che – per mestiere, caso, carità cristiana, scelta politica – le hanno accolte.
Le storie che ascolterete in questo docu-film sono storie di vita vera. Non distolgono lo sguardo dalla tragedia ma nemmeno, ci piace pensare, dalle occasioni di speranza che allignano, in ogni caso, dietro il tema aperto e percepito della migrazione. Unico espediente strappato al realismo della presa diretta è quello della voce narrante, assunta come espediente di raccordo, voce tra le voci, espressione interiore, riflessione collettiva sull’argomento.
Il film, patrocinato da AMNESTY INTERNATIONAL, è stato realizzato con la collaborazione di GUARDIA COSTIERA ITALIANA, GUARDIA DI FINANZA E MEDICI SENZA FRONTIERE.