Castelmola. Da Jenny Gullotta, riceviamo e pubblichiamo una lettera di Gabriella Gullotta: “Tra il primo pomeriggio del 12 luglio e la notte del 13 luglio, un vastissimo incendio partito dalla contrada di Dammari ha letteralmente incenerito ettari ed ettari di macchia mediterranea, uliveti, mandorleti, vigneti e seminativi insinuandosi fin dentro le case della contrada di Trupiano nel territorio di Castelmola. Oggi è desolante guardare da Trappitello verso le colline sovrastanti, una coltre nera e fumosa e a macchie di leopardo oasi verdi, letteralmente strappate al fuoco della tenacia e dalla disperazione di pochi inermi cittadini, animati dall’amore e dall’attaccamento verso le proprie cose e le proprie terre coltivate da generazioni e generazioni e sempre più soli nell’abbandono progressivo delle campagne, che prosegue esponenziale almeno da un cinquantennio. Non è certo la prima volta che le nostre campagne, la regione intera, il Sud vengono devastati dagli incendi. Allora qual è il dato nuovo su cui bisogna assolutamente riflettere per agire di conseguenza? Quest’anno più degli anni scorsi – e ancora non siamo neanche alla metà di luglio – gli incendi sono stati più numerosi e soprattutto più vasti e si sono spinti fin dentro l’abitato come non mai, perché abbiamo cominciato a scontare la politica dei tagli e degli accorpamenti dovuti alla riforma Madia, ma di fatto non disponendo di un piano di potenziamento di unità che potesse supplire alla mancanza di uomini, a cui si aggiunge il taglio di mezzi, pochissimi Canadair o comunque non in servizio. Com’è possibile ciò? Inutile parlare di emergenze o di aumento delle temperature, sono sciocchezze, la parola emergenza viene abusata e diventa un alibi. Manca la lungimiranza politica, perché io non discuto sulle ragioni degli accorpamenti, non discuto sulle infiltrazioni mafiose in certi ambienti per cui la piantumazione e l’incendio a rotazione continua costituivano un business o una forma di clientelismo, non discuto sulla possibile campagna di incendi a scopo di pressione affinché si ripristinino le logiche clientelari di prima, ma io dissento da una politica insensibile e cieca rispetto alle problematiche ataviche del nostro territorio che, eliminato un Corpo, non ha pronto preventivamente un piano per sostituire e rinforzare ciò che ha tolto, trasferendo quelle funzioni svolte dai Forestali fattivamente ad un altro Corpo. Io dissento da una politica regionale che non rinnova le convenzioni con i Vigili del fuoco, che non si batte per potenziarne il numero. Serve fare pulizia e lasciare chi svolge onestamente la sua mansione, rinforzando il numero delle unità degli effettivi e cercando di bonificare le politiche di assunzione con bandi seri e preciso accertamento dei requisiti. O forse eliminando la Forestale e diminuendo le risorse per una bizzarra applicazione del principio dei vasi comunicanti si pensava di eliminare anche gli incendi? E forse se ne stanno scoppiando così tanti e perché, signori, al Sud fa tanto caldo? Io dissento da una politica regionale che non previene un attacco di questo tipo, assolutamente prevedibile dopo la resecazione dei contratti degli stagionali della Forestale. Ingenuità, superficialità, inadempienza, vuoto di idee? Non so cosa sia peggio, ma non mi interessa criticare, non serve a niente. Infatti ciò che mi sembra ancora più pazzesco in tutta questa nostra drammatica situazione è la mancanza della politica delle prevenzione, quando scoppia un incendio ci vogliono moltissime energie e costi per spegnerlo, bene, non sarebbe più vantaggioso mettere in campo tutte quelle pratiche per prevenire che un incendio scoppi? Come? Agendo su due fronti: da un lato dare lavoro, inventarsi qualcosa di concreto. A questo proposto trovo lodevolissima ed efficace l’iniziativa di Aprea, ex presidente del Parco dell’Aspromonte, che con un contratto di responsabilità ha affidato parti di Parco ad associazioni e cooperative affinché prevenissero gli incendi per cui più proteggi il tuo pezzo più guadagni, più si brucia più perdi. Con questo metodo dal 2000 al 2006 la superficie bruciata in Aspromonte è scesa dell’80% rispetto agli Anni ’90. Dall’altro utilizzare anche l’Esercito con compiti di Protezione civile al fine di allestire un servizio di vedetta per la prevenzione dell’incendio, per acciuffare i delinquenti (trovo inadeguato il termine piromane perché presuppone un disagio mentale che può costituire un’attenuante che non c’è) che utilizzano l’incendio come mezzo di guadagno o pressione e applicare la legge. Infatti non vi è bisogno di una legge nuova, ma di applicarla seriamente, se si viene colti in flagranza di reato si rischiano 20 anni di galera e sanzioni pecuniarie. Se chi appicca il fuoco sistematicamente, smetterà di sentirsi invincibile, forse le cose potrebbero cambiare. Inoltre le Amministrazioni comunali devono incoraggiare la pulitura dei terreni o imporla, è un obbligo di civiltà diversamente si perde il titolo di proprietà, poiché non si merita il possesso di ciò che non sai curare. Ciò è necessario per creare congrue linee tagliafuoco che ridimensionino il pericolo di ampi fronti. E senza sconti per nessuno bisogna applicare la legge e impedire la pastorizia sui luoghi interessati da incendio. Le leggi ci sono, ma bisogna avere il coraggio e la forza di applicarle. L’esperienza che ieri è stata fatta tra le contrade abitate di Trupiano e Grimaudo nel territorio molese, dimostra che, in questa palude parolaia della politica, l’unica forza di cui disponiamo sono i cittadini. Infatti grazie al loro sacrificio e ai rischi che hanno corso, improvvisandosi Vigili del fuoco, sono state salvate case, alberi di ulivo, querce, vigneti, macchia mediterranea, il lavoro paziente di generazioni su quelle terre bellissime. Allora utilizziamo i comitati civici come un incendio che dilaghi in tutta la regione, costituiamo una rete, facciamo esposti per quanto successo, per creare una pressione continua e tenere desta l’attenzione su questo gravissimo problema, affinché non si arrivi all’estate del 2018 come si è arrivati a questa. Il mio problema di molese è il medesimo del taorminese o del messinese o del nisseno o del palermitano e del napoletano. Bisogna voltare pagina, uscire dall’isolamento e dal fatalismo che ci intorpidisce la coscienza e assumere iniziative intelligenti di pressione dal basso, non solo per criticare e denunciare, ma per proporre e colmare il vuoto che la politica declamata, ma non agita crea e continua a creare. Nel nostro territorio esiste già un attivo Comitato delle contrade che da anni lotta sul fronte della prevenzione degli incendi e su quello strettamente legato dell’erosione e delle alluvioni autunnali e invernali che ci aspettano al varco alle prime piogge. Il comitato civico è un modo per riappropriarsi dell’iniziativa politica nel senso più nobile e originario del termine, quello esistente può essere un punto di riferimento per tutti, creiamo una rete con altri Comuni, cercando di coinvolgere i cittadini e i sindaci, non ci isoliamo perché tutta la regione e tutto il Meridione ha lo stesso problema. Facciamo assemblee pubbliche, discutiamo e agiamo. Non vedo altre strade, se non la morte lenta per asfissia metaforica e letterale. Io e chi come me viene dalla campagna che brucia non siamo votati al suicidio”.