Taormina. Città del Centauro o del Minotauro? È l’enigma che ruota attorno alla denominazione della città di Taormina. Cettina Rizzo, ispettrice onoraria dei siti archeologici di Naxos e Taormina che per anni ha collaborato con le Soprintendenze di Siracusa e Messina, ha condotto un’accurata analisi dell’iconografia degli stemmi di Taormina, risolvendo un enigma che ha sempre affascinato cittadini e turisti.
L’esito è svelato nel libro “Centauro o Minotauro? Genesi ed interpretazioni storiche dello Stemma di Taormina” (Maurfix Editore) che verrà presentato sabato 21 dicembre, alle 17, nella sala delle conferenze di Palazzo Duchi di Santo Stefano.
«In questo lavoro – racconta l’autrice – ho cercato di rispondere a uno dei tanti interrogativi che riguardano la città di Taormina: quello legato alla sua denominazione. In mancanza di notizie certe e documenti ufficiali, ho iniziato la mia ricerca partendo da tutti quegli elementi iconografici sparsi sul territorio che riportavano lo stemma di Taormina. Una lunga e travagliata ricostruzione che mi ha permesso di constatare che esistono tre rappresentazioni diverse del simbolo civico e, alla fine, di dare una risposta alla controversia interpretativa sull’appellativo della città».
Nel suo lungo lavoro, Cettina Rizzo ha analizzato tutte le trasformazioni che lo stemma di Taormina ha subito nei secoli: dalla testimonianza, che si trova nel Duomo, raffigurante una figura femminile con corpo di toro a quattro zampe che tiene in mano i simboli dell’egemonia del territorio (il castello di Mola e il castello Regio) a quello più conosciuto della centauressa bipede che regge i simboli del potere, lo scettro e il globo, che trova l’esempio più notevole e rappresentativo nella fontana abbeveratoio di Piazza Duomo. Il volume è corredato dalle fotografie degli elementi iconografici analizzati nel testo, realizzate dal fotografo taorminese Fulvio Lo Giudice. Presenta inoltre una veste bilingue con la traduzione inglese curata dal Emily Felis del gruppo guide turistiche di Taormina.
Durante la presentazione, dopo i saluti istituzionali del sindaco di Taormina, Mario Bolognari, e dell’assessore alla Cultura, Francesca Gullotta, dialogheranno con l’autrice Maria Concetta Calabrese, docente di Storia Moderna presso l’Università degli Studi di Catania, e Filippo Grasso, docente di Analisi di mercato nel corso di laurea in Scienze del Turismo dell’Ateneo messinese. Interverrà anche l’editore Maurizio Andreanò. L’evento sarà moderato da Giusy Bottari della testata giornalistica Pickline.
«La conoscenza della genesi e del significato dello stemma cittadino – dichiara l’assessore alla Cultura, Francesca Gullotta – fa parte della nostra storia, dal momento che il simbolo civico, condiviso e accettato da tutti, dovrebbe essere strumento di comunicazione e di coesione sociale, oltre che di identità collettiva e di appartenenza culturale. Conoscere l’origine è, inoltre, futuro, in quanto è apertura verso il domani, verso l’orizzonte della totalità del nostro poter essere, sia come soggetti individuali e sia come comunità, fieri custodi dei nostri valori».
Il libro con sintetiche ma dettagliate incursioni storiche, avvalorate da documenti, giunge alla determinazione che la storia delle dominazioni in Sicilia è la vera protagonista di tutte le trasformazioni che lo stemma ha subito dal Medioevo ai giorni nostri. Storia ed iconografia si intrecciano svelando dettagli poco conosciuti sull’eredità culturale di Taormina.
«Quello che ho maggiormente apprezzato in questo volume – spiega Maria Concetta Calabrese – è la capacità dell’autrice di fare affiorare la verità storica dall’analisi iconografica senza avere la presunzione di inventare nulla. Le pietre parlano, ci raccontano la loro storia e ci aiutano a comprendere la nostra. Ci sono pietre lisce o scalpellinate, con iscrizioni o bassorilievi: sta alla competenza del ricercatore capire ed individuare cosa vogliono dirci».
Il volume si presta a diversi livelli di lettura: è possibile scorgervi un ipotetico itinerario turistico alla scoperta del simbolo identitario della città. «Il racconto del territorio attraverso la lettura e il significato dei simboli “nascosti” o “non osservati” – sottolinea Filippo Grasso – consente ai viaggiatori e alla comunità locale di immedesimarsi con passo lento e sicuro nella storia del luogo che visitano o che abitano. È la metafora della passeggiata letteraria del “flaneur” dove lo stupore e la meraviglia dominano sulla curiosità. Il turismo in fondo è anche questo: gestire, promuovere e comunicare le risorse del proprio patrimonio culturale in modo adeguato e competente».