Taormina. Da Maria Pia Lucà, guardia medica a Cesarò (e presidente dell’associazione “L’Altra Metà di Taormina), riceviamo e pubblichiamo: “19 settembre 2017, finalmente le 8, è finita; una lunga notte di guardia, a dire il vero tutte le notti quando lavori sono interminabili, sei contenta in fondo è andata bene. Fino a quasi mezza notte un po’ di routine, una telefonata all’una che si è risolta con un consiglio terapeutico, alle 3.30 risolvi un mal di denti, alle 6.15 tratti una gastrite, poi ti prepari, raccogli le tue cose, riponi i registri, chiudi gli armadietti alle 8.05 sei già in macchina non vedi l’ora di essere a casa. Avvii la radio, il giornale radio tutte le mattine quando smonti di guardia ti informa: Dottoressa in guardia medica aggredita e violentata: il pugno nello stomaco è cosi forte che il piede destro si è piantato sul freno della macchina, devi prendere fiato, accostare la macchina, le gambe incominciano a tremare e la mente va in tilt. Mille e uno pensieri mi attraversano la testa, rivedo il tipo che aveva mal di denti, il tipo che ho visitato stanotte per il mal di stomaco e mi vengono i brividi. E se qualcuno avesse avuto qualche brutta intenzione? Se con la scusa di qualche patologia si fosse recato in guardia per approfittare della dottoressa che sola di notte è di servizio? Mi sento soffocare pensando alla collega che, come me lavorava stanotte e stamattina si trova ricoverata in ospedale aggredita e violentata da un presunto paziente. Mi sento una sopravvissuta, fortunata. Sgomento, dolore, rabbia misti a sollievo per essere incolume stamattina. Mi rendo conto sempre di più di quanto sia difficile la mia libertà, di quanto sia difficile la libertà delle donne, quella libertà di cui gli uomini godono senza rendersene conto. E’ stato difficile iscriversi a Medicina tanti anni fa, eravamo veramente poche, fare il medico era quasi esclusivamente una professione maschile. Oggi sono molte di più donne a diventare medici eppure nell’immaginario collettivo rimane una professione maschile. Quanto è difficile fare il medico di guardia medica per una donna. Lo vedo, lo sento spesso quando apro la porta della postazione di guardia. Mi viene chiesto: Non c’è il dottore? Sorrido, ormai ho fatto l’abitudine, ma è umiliante dover pensare che si accontentino perché non possono scegliere. Quanto è difficile dover andare a lavorare accompagnati, dal marito, dal fidanzato, dal padre, dal fratello o dal figlio, sembra di dover andare in trincea; eppure molte di noi sono costrette a scombussolare le famiglie pur di sentirsi al sicuro sul posto di lavoro. Quanto è difficile dover uscire in piena notte da sola per le strade di un paese che nemmeno conosci bene, ma ti hanno chiamata per una visita a domicilio devi correre sempre da sola fino all’abitazione del paziente e devi essere calma, lucida, pronta a diagnosticare e fare terapia, mentre il cuore ti batte forte per la paura di incontrare un malintenzionato. Quanto è difficile riposare di notte in guardia medica, mentre da sola avverti ogni piccolo rumore, ogni macchina che passa ti fa sobbalzare, quando senti un motore avvicinarsi sei già alzata, stai già procedendo verso la porta cercando di vincere la paura che ti stringe lo stomaco. Non sai cosa ti aspetta, non sai chi è che suona alla porta, non hai il videocitofono, anche se non credo cambierebbe nulla, devi aprire comunque. Oggi il pensiero va alla collega che stanotte è stata meno fortunata di me, se dovessi incontrarla ora non saprei cosa dirle ma l’abbraccerei e piangerei con lei tutte le lacrime che ho trattenuto stamattina quando ho appreso la notizia. Lei stanotte è morta, morta dentro sicuramente, ma ogni volta che una donna viene violentata moriamo tutte. Sono molto lontani il rispetto, la dignità, la parità che ci spetta e per i quali abbiamo lottato tanto, e ancor più lontana e difficile è la libertà delle donne. Il buon sentimento di solidarietà oggi non basta più, ora dominano il dolore e la rabbia. Quante dovranno ancora subire queste violenze prima che i dirigenti delle ASL, gli assessori, gli Ordini dei medici, chiunque può fare concretamente qualcosa, si mobilitino per risolvere il problema della sicurezza nelle postazioni di guardia medica? Dobbiamo aspettare che le vittime siano figlie, mogli, sorelle di qualcuno che conta? E noi donne-medico perché ancora non siamo insorte, non ci facciamo sentire, dovremmo ognuna di noi sentirci parte lesa ogni volta che una donna viene violentata e a maggior ragione scoppiare di dolore e di rabbia quando un medico-donna, una collega mentre è al suo posto di lavoro viene aggredita o violentata. Si parla di morti sul posto di lavoro, si chiamano morti bianche quelle che avvengono per mancanza di mezzi di sicurezza idonei, la nostra collega stanotte è morta, morta nell’anima. Sì, sopravviverà, certo, il corpo reagirà ai segni dell’aggressione, ci vuole solo tempo, ma la sua anima non potrà guarire mai. Lo stupro è qualcosa di terrificante, di indimenticabile, non superabile. Ora sicuramente si assisterà alla solita sfilata di politici, già siamo in piena campagna elettorale, figurarsi se il politico di turno non si dica disposto ad abbracciare la causa, che poi si tratterebbe di applicare le norme che già sono in vigore e che vengono disattese dalle ASP. Le norme prevedono di fornire tutte le postazioni di C.A. di allarme collegato con le forze dell’ordine, di videocitofono, di telecamere di sorveglianza, oppure considerare di istituire i presidi nella caserma dei carabinieri, fare il turno in raddoppio. Poche cose, ma sicuramente utili ai fine della sicurezza. Cambierà qualcosa? Difficile stabilirlo, ma non credo proprio, la violenza esercitata sulle donne è una questione culturale, è una questione di potere, di dominio esercitato sul corpo delle donne da parte di uomini che si sentono superiori, più forti, più maschi. La violenza sulle donne è un’emergenza sociale e tutta la società civile se ne deve assumere la responsabilità. Una donna, un medico di guardia medica, Maria Pia Lucà”.