Taormina. “La ‘ndrangheta forse non potrà essere debellata, ma certo si può ridurre il suo potere del 75%”, se lo Stato si doterà degli strumenti opportuni”: la previsione è del giudice della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, intervenuto domenica sera, presso una nota struttura ricettiva a 5 stelle di Taormina, per presentare il suo ultimo libro “La Malapianta” edito da Mondadori. L’incontro con il magistrato Nicola Gratteri, che è una delle figure più impegnate nella lotta alla ‘ndrangheta, è stato promosso dalle Librerie Bucolo di Taormina in collaborazione con l’Associazione Antiracket e Antiusura Valle Alcantara, con la Fidapa sezione di Taormina e con il Centro Studi Italiani Babilonia, con il patrocinio del Comune di Taormina e della Provincia Regionale di Messina. Sala gremita e parterre di autorità e forze dell’ordine davvero eccezionale per rendere omaggio ad un magistrato che da 20 anni è costretto a vivere sotto scorta. “Oggi è un giorno importante per Taormina – ha esordito Antonella Ferrara, direttore delle Librerie Bucolo e vicepresidente dell’Associazione Antiracket e Antiusura Valle Alcantara – perché abbiamo il piacere e l’onore di incontrare colui che probabilmente conosce meglio le distorsioni e i meccanismi del nostro sistema, che permettono alle tre grandi mafie italiane di prosperare. Un uomo che ha dedicato tutta la vita alla lotta alla criminalità organizzata.” Di alto profilo anche gli interventi del Procuratore Generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro; del Prefetto della Provincia di Messina, Francesco Alecci; del questore di Messina, Enzo Mauro; del giornalista Domenico Calabrò; del presidente di Confindustria Sicilia Alberghi e Turismo, Sebastiano De Luca; del sindaco di Taormina, Mauro Passalacqua e dell’assessore alla Cultura della Provincia di Messina, Mario D’Agostino. L’incontro con il magistrato Nicola Gratteri, simbolo dell’impegno antimafia, è stato anche un’occasione per fare incontrare, in totale sinergia, le forze migliori dell’associazionismo: erano infatti presenti anche il presidente dell’Associazione Antiracket e Antiusura Valle Alcantara, Giancarlo Moschella, il presidente della Federazione Antiracket Italiana Giuseppe Scandurra e la presidente della Fidapa sezione di Taormina, Franca Gulotta. Grande attesa per la presenza del giornalista Rai, Franco Di Mare, che ha condotto un’intervista a Nicola Gratteri sui temi portanti del suo libro “La Malapianta”, scritto insieme ad Antonio Nicaso, uno dei massimi esperti al mondo di ‘ndrangheta. Una conversazione tra massimi sistemi che ripercorre la storia recente della ‘ndrangheta, ponendo l’accento su ciò che è oggi la consorteria criminale: secondo Gratteri, certamente la più potente, la più aggressiva, la più ricca. La ‘ndrangheta, ha detto Nicola Gratteri per spiegare cosa sia oggi, è talmente potente che, quando i narcos colombiani sequestrarono un capo mandamento della mafia siciliana, nel corso di una difficile trattativa, rifiutandosi di liberarlo, bastò una semplice richiesta fatta da uno ‘ndranghetista perchè l’ostaggio tornasse libero. “E non era un elemento di spicco della ‘ndrangheta – ha detto Gratteri – e nemmeno di serie B o C”. Il magistrato ha anche insistito sul diverso approccio che lo Stato deve avere nei confronti di chi, ritenuto colpevole di reati di ‘ndrangheta, viene condannato, auspicando che la pena venga completamente espiata in un carcere. Nicola Gratteri ha definito la consorteria calabrese come ”glocal” perché, se da un lato è profondamente radicata sul territorio, dall’altro è, ormai da decenni, in grado di dialogare con tutte le organizzazioni criminali del mondo. Una mafia, ha detto, vecchia nel modo di essere (“é come – ha spiegato – se cent’anni fa fosse stato fatto un calco di pietra e il modello fosse ripetuto da quel momento, senza modifiche, senza cambiamenti”), ma nuova nel modo di relazionarsi con la politica, l’economia, la società civile. La ‘ndrangheta, ha detto ancora, non è mai anti Stato, perché non entra mai in contrasto con le istituzioni. Solo una volta, ha ricordato, la ‘ndrangheta ha ucciso un magistrato, Antonino Scopelliti (cui ”La Malapianta” è dedicato), ma solo per fare un “favore” a Cosa Nostra, dal momento che il magistrato era pg nel processo in Cassazione alla Cupola. L’antropologo Vito Teti ha voluto sradicare la concezione mitizzante che talvolta si pone intorno alla ‘ndrangheta, che viene così a celare, dietro questa maschera, i suoi reali obiettivi, le sue reali finalità, che non sono certo quelle di porsi come antagonista nei confronti dello Stato, come qualcuno ha pure ipotizzato, quasi paragonandola al brigantaggio ottocentesco. Gratteri ha anche fatto un quadro dei rapporti internazionali della ‘ndrangheta e di chi, magistratura e forze dell’ordine, intende contrastarne l’azione. E viene da chiedersi, ascoltando la realtà tracciata con estrema lucidità dal giudice Gratteri, come è possibile che in uno dei paesi più industrializzati del mondo, che siede all’interno del G8 occupandone un posto di rilievo, ci siano intere aree, macroregioni, che sfuggono al controllo dello Stato e in cui anzi, per dirla con il Procuratore Antimafia Pietro Grasso, è lo Stato a doversi infiltrare e non viceversa. Ma soprattutto dobbiamo chiederci come è possibile che in uno stato civile, un servitore dello Stato, un alto magistrato impegnato ogni giorno a lottare contro la criminalità organizzata, sia costretto a vivere sotto scorta da venti anni, a costo di grosse rinunce sul piano personale e umano. L’incontro con il magistrato Gratteri lascia aperto un interrogativo: la criminalità organizzata che funesta tante regioni, è davvero solo un fatto storico ed economico, oppure dobbiamo anche pensare ad una causa antropologica, sociologica? In altre parole, come dice Gratteri, non ci sarà anche una sorta di passività della società civile, un “girare la testa dall’altra parte”, una responsabilità della classe dirigente che non è più capace di indignarsi davanti all’abuso e alla sopraffazione? Ma la conclusione dell’incontro lascia un pizzico di speranza in tutti, perché si ha la sensazione chiarissima che Nicola Gratteri preferisca comunque non credere nel pessimismo della ragione, ma nell’ottimismo della volontà.