Taormina. “Con la Sicilia non si può che avere un rapporto d’amore”: mentre il mondo piange la scomparsa di Luís Sepúlveda, è bello e dolorosamente struggente ricordare l’appassionata “dichiarazione” del grande scrittore cileno, che nel 2014, ospite di Taobuk, esprimeva alla sua maniera, con parole semplici e intense, il forte sentimento per la nostra isola e il coté letterario che egli conosceva e amava profondamente, da Tomasi di Lampedusa a Camilleri.
Lo ricorda così Antonella Ferrara, presidente del festival che ha il primato di averlo premiato ben due volte: “Era il 20 settembre di sei anni fa – rievoca Antonella Ferrara – quando l’autore di Storia una gabbianella e del gatto che le insegno a volare venne salutato dalla standing ovation di migliaia di spettatori assiepati nella suggestiva cornice del Teatro Antico di Taormina. Era il primo in assoluto a ricevere il Taobuk Award for Literary Excellence, istituito quell’anno in occasione della quarta edizione del festival, inaugurando una serie di serate di gala destinate ad ospitare i nomi più illustri della letteratura internazionale. Di quella prima magica volta non potrò mai dimenticare la speciale alchimia che si venne a creare con gli altri due Taobuk Award, ossia Nicola Piovani per la musica e il presidente del Senato Pietro Grasso, premiato per l’impegno civile, un percorso che Sepúlveda aveva sperimentato con coraggio sulla propria pelle”.
La liaison amorosa tra lo scrittore e il festival era destinata a durare e a ripetersi nel 2016, quando il 17 novembre al Teatro Sangiorgi di Catania, a Sepúlveda venne assegnata la prima edizione del ”Premio Sicilia”, ideato da Taobuk e promosso dall’Assessorato Regionale del Turismo, Sport e Spettacolo. Anche questa volta ad attenderlo c’erano centinaia di fan, davanti ai quali avrebbe presentato in anteprima nazionale italiana il suo romanzo “La fine della storia”, un racconto largamente autobiografico e dunque avventuroso come la sua stessa esistenza era stata, un intreccio tra realtà e fantasia mirato alla denuncia della dittatura e della tortura.
“Il rapporto tra Taobuk e Sepúlveda – prosegue Antonella Ferrara – come per certi aspetti quello instaurato con un altro sommo scrittore come Amos Oz, è stato particolarmente intenso e affettuoso sul piano umano, una naturale conseguenza della personalità solare che, nonostante le ingiustizie subite, contraddistingueva questo intellettuale di prim’ordine e attivista dal forte impegno civile e politico, che aveva saputo imporsi con la metafora delle favole morali tra i maggiori e più amati autori del nostro tempo”.
Combattente e resiliente ad oltranza, innamorato della vita che pure non gli aveva fatto sconti, Sepúlveda incarnerà per sempre l’anima del Sud del Mondo, di cui conosceva grandezze e miserie. Di lui Antonella Ferrara sottolinea infine l’insegnamento letterario ed etico, emerso anche negli eventi del festival che lo hanno visto protagonista: “Era un grande uomo, coerente e lucido. Lo dimostrano l’avere scelto la favola morale quale veicolo d’elezione per trasmettere valori fondamentali per l’umanità come l’amicizia, l’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà sociale, la libertà, il rispetto della natura. E stupisce, citando le sue stesse parole, quel suo considerare l’impegno civile non come una cosa straordinaria ma normale, ovvero saper conformare le nostre azioni a ciò che sappiamo essere giusto fare, per potersi guardare allo specchio la mattina e sentirsi un uomo decente”.
Su tutto spiccava la sua positività mai superficiale ma mediata dal dolore. Fu lo stesso Sepúlveda a spiegarlo ai microfoni di Taobuk: “Sono consapevole che la mia vita, tra carcere esilio torture, non è stata facile, ma il bilancio è comunque buonissimo e ho avuto una ricompensa incommensurabile, una moglie adorata, i figli e sei nipoti, a garantire la fondazione di una famiglia fantastica, bellissima, forte molto forte”.
No, non c’era spazio per il nichilismo, in Sepúlveda, che da giovane aveva letto Lampedusa, ne aveva appresa la grande lezione, ma quella desolante definizione di melanconia, intesa come “la felicità di essere triste”, l’aveva presto convinto che, lui, un malinconico non sarebbe mai stato. Voleva essere felice e basta. E lo è stato nonostante tutto e tutti. Qual era allora la sua idea di felicità? La risposta di Sepúlveda fu allora, e tale sarebbe anche oggi, rigorosa e assoluta: “Fare la cosa giusta al momento giusto”.
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