Taormina. “Le Livre de Lumière” – il “Libro di Luce” – è la scultura dal grande impatto visivo riproducente un monumentale libro cesellato alto 2 metri che accoglierà dal 13 al 28 settembre, nel cortile antistante la Sala Colonna del Palazzo Duchi di S. Stefano, i visitatori della personale di Yanik Pen’du, organizzata dall’associazione “Arte&Cultura a Taormina”, presieduta da MariaTeresa Papale. Creata espressamente dal grande artista bretone per la concomitanza con l’edizione 2016 di TaoBuk, la raffinata installazione in zinco e stagno, traboccante di luci – omaggio al potere della conoscenza – sarà, infatti, l’originale sfondo delle presentazioni di libri ed autori della kermesse letteraria internazionale che si svolgeranno in contemporanea nella sede della prestigiosa Fondazione Mazzullo, sottolineando una voluta sinergia di eventi, una felice coincidenza artistica che proprio nel segno degli “Altri”, leit-motiv della 6° edizione di TaoBuk, vede unite Bretagna e Sicilia, ambedue antichi Stati indipendenti. Regioni all’apparenza lontane per ragioni geografiche ma, in realtà, unite dal comune fil rouge di una complessa e profonda cultura che da secoli esibisce orgogliosamente l’antichissimo simbolo indo-ariano Triskell/Triscele come emblema della propria terra. E sono proprio la terra bretone – quella di Finistère, la terra dove gli antichi pensavano finisse la Terra– e la risonanza dei suoi ancestrali archetipi ad essere al centro di tutta l’arte di Pen’du, sia che si cimenti nelle eleganti incisioni, o nelle raffinate sculture dal taglio primitivo, o nei dipinti su tavole di vecchio legno dove la fluidità delicata e poetica del segno è esaltata dalla consistenza corposa dei materiali e delle tecniche usate. Al riparo dall’alienante “centrifuga” delle grandi città francesi, nel piccolo borgo di Scaër, Pen’du immerge la sua arte – e la talentuosa capacità di gestire una notevole varietà di tecniche – nella natura delle lande bretoni testimoni di miti e leggende, nelle brughiere avvolte da una sottile nebbia, nei boschi punteggiati dal giallo delle ginestre che fioriscono ad ogni angolo, nelle impetuose onde atlantiche che schiaffeggiano rivestendole di spruzzi le falese di granito rosa. Dando nuova vita a materiali già segnati da tracce di un vissuto e recuperati all’arte: nodose tavole di legno, vecchie placche di zinco, teloni usati. Mentre la Natura, complice generosa, lo ricambia facendogli dono dei suoi colori: il blu profondo di una notte stellata, l’argento minerale, l’oro scintillante del sole, il verde smagliante dei licheni insinuatisi nel granito, che egli, manipolando la materia secondo un simbolismo cromatico, consacra ai quattro elementi primari, terra, acqua, fuoco, aria. E così, in una sorta di rarefazione del reale, l’artista bretone trasfonde mondo onirico, emozioni e consapevolezze dell’oggi nella ri-lettura, sofisticata ed attualizzata, di rimandi ed echi dell’alba dell’Umanità, di un passato dalla testimonianza senza parole, affidata solo all’essenzialità di suggestivi segni vergati con l’ocra della terra nelle grotte di mezza Europa migliaia di millenni fa. Sono le raffinate silhouèttes delle Silfidi, geni dei boschi, dai contorni evanescenti che danzano librandosi fluide nell’aria come sin dai tempi del paleolitico fanno i magnifici “Danzatori” della Grotta dell’Addaura. Sono i cavalli dalle possenti terga lanciati al galoppo che ci ricordano quelli di Lascaux. Sono gli arcieri, arco contro arco, in una sorta di danza guerriera senza spargimento di sangue, come ad Altamira. Immagini dell’arte rupestre preistorica entrate di prepotenza nell’immaginario collettivo, un imprinting di simboli e concetti presenti nella memoria e nell’immaginazione che Yanik Pen’Du, assorbendo e rinnovando secondo i paradigmi strutturali di un uomo contemporaneo consapevole di muoversi ai bordi dell’inconscio, traduce in opere d’arte dove la “forma” viene scarnificata sin quasi all’astrazione. Figure colte in un attimo in cui la tensione dei corpi è spinta al massimo, in cui l’equilibrio sembra essere perdente e gli equilibristi destinati a cadere. Ma è solo un attimo. A ben guardare, infatti, ci si accorge che il loro slancio è ben calcolato, che il perfetto equilibrio verrà mantenuto in un gioco armonioso di corrispondenze e riflessi e le tensioni interiori sciolte e risolte il momento successivo … ancora trattenuto, invisibile, nella creazione. Così Silfidi, cavalli ed arcieri, simboli della libertà originaria dipinti, incisi, scolpiti, fanno da specchio all’universo onirico, ai desideri ed alle inquietudini dell’artista bretone ed, onnipresenti mattatori della scena, ci parlano della ricerca di una condizione di libertà, di una vita vissuta a contatto con una natura quasi allo stato selvaggio, di un’indipendenza mentale e spirituale come il solo anticorpo capace di preservare dall’alienazione della società attuale l’integrità dell’uomo. E dell’artista. Una trentina di opere – tra incisioni, sculture e pitture – che raccontano del percorso artistico di Yanik Pen’Du, sarà protagonista della mostra voluta e sponsorizzata dall’Associazione Albergatori di Taormina e curata da MariaTeresa Papale. Patrocinata da partners di rilievo quali l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali ed Identità Siciliana, il Comune di Taormina, il Dipartimento di Finistère della Regione Bretagna- Francia, Fondazione Mazzullo, Taormina Arte, Club per Unesco di Taormina, Valli d’Alcantara e d’Agrò, Gais Hotels Group, “La Baronessa”, “Piazza Dalì” la mostra, che chiuderà i battenti mercoledì 28 settembre e ha orario giornaliero 10:00/13:00 e 17:00/ 21:00, è free-entrance.