Catania. Dagli Anni Settanta in poi, la Sicilia è stata raccontata cinematograficamente per lo più come terra dove albergano la mafia e i mafiosi, uno sperduto far west con un’idea giustizialista lontana dalle forme legali di rispetto dell’entità giuridica. Inoltre, oggi, la mafia è quasi diventata un brand – con maglie e souvenir che raffigurano i leggendari mafiosi di turno – su cui speculare, incrementando e sancendo quelli che da sempre sono gli stereotipi che soffocano l’Isola. Da questi assunti, Cirino Cristaldi, giovane giornalista cinefilo, ha concepito il saggio “La Mafia e i suoi stereotipi televisivi”, edito da Bonfirraro: un’inchiesta al luminol sulle produzioni video ambientate in Sicilia. Un approccio di critica analitica per ogni frame con l’obiettivo di creare consapevolezza e risvegliare le coscienze, denunciare e abbattere quel parallelismo Mafia = Sicilia che si realizza nell’iconografia di un’Isola che paga ancora lo scotto di alcuni retaggi culturali. L’incontro con l’autore è previsto sabato 4 luglio, alle ore 17.30 alla Mondadori Bookstore del Centro Commerciale “Le Ginestre” di Tremestieri Etneo. Interverranno il giornalista televisivo Lucio Di Mauro, l’esperto in comunicazione Paolo Garofalo, e l’editore Salvo Bonfirraro, che ha voluto fortemente questo libro per contribuire a riaffermare una differente identità legata all’altra faccia di una terra bellissima, per troppo tempo violentata e maltrattata. Cosa emerge, infatti, da format seriali quali, ad esempio, La Piovra o Il Capo dei Capi? E da celebri lungometraggi come, solo per portare l’esempio più palese, Il Padrino di Francis Ford Coppola? Un libro interessante, multimediale e interdisciplinare, che si pregia del saggio introduttivo del docente dell’Università di Catania Maurizio Zignale, e che induce alla riflessione sul linguaggio utilizzato dai media e dalle grandi case di produzioni televisive che spesso prediligono il cache flow rispetto a una scelta realistica, di una regione, su cui gravano sì delle forti problematiche sociali ed economiche, ma dalla quale si alza forte il grido di comunicare piuttosto i suoi valori, celebrandone bellezze, cultura e uomini coraggiosi. Perché forse l’etichetta di “mafioso” sta cominciando a diventare davvero troppo stretta a tutti, anche ai siciliani onesti. Cristaldi, nel suo saggio “La Mafia e i suoi stereotipi televisivi” va ad approfondire in maniera molto analitica, come le produzioni televisive abbiano trattato il tema “mafia”. Cosa ci può dire brevemente in merito? «Partiamo da un presupposto fondamentale: la mafia in tv fa audience. Analizzando approfonditamente questo dato focale si può spiegare come molto spesso le produzioni televisive abbiano fatto il pieno di ascolti puntando su format seriali quali ad esempio La Piovra o Il Capo dei Capi, sfruttando una delle più classiche associazioni: Sicilia e Mafia. Il mio saggio parte appunto da questa visione stereotipata della Trinacria, raccontando la sua evoluzione attraverso immagini e storie spesso ispirate a tragici eventi di cronaca». Perché ha scelto di prendere spunto da questo argomento? «Tutto è nato dalla volontà di far conoscere al mondo un’altra faccia della Sicilia, ormai stufa di essere etichettata come “terra del male” e messa da parte, in un angolo. A chi non è mai capitato di varcare i confini nazionali e sentirsi appellare come “mafioso” per il semplice fatto di essere siciliano? A fomentare questo processo, parecchio hanno influito le produzioni cinematografiche e televisive di tutto il mondo». Cosa rimprovera alla maggior parte delle produzioni televisive? «In realtà, credo di essere l’ultima persona al mondo capace di giudicare l’operato dei produttori italiani e non, ma una cosa è certa: nel corso della decennale storia dei film e delle serie tv del filone “mafioso” fin troppi stereotipi negativi sono stati veicolati senza pensare alle conseguenze del protrarsi di un tale fenomeno. Un conto è produrre documentari storici, un altro è continuare a fare incassi sfruttando la parola “mafia” e tutto quello che ne consegue». Quale, secondo lei, è stata la fiction che maggiormente si è avvicinata alla realtà territoriale dell’isola più grande del Mediterraneo, come lei spesso ama definire la Sicilia? «Potrei rispondere più semplicemente che la fiction che meno si avvicina alla realtà territoriale della nostra amata Sicilia è L’Onore e il Rispetto, così come Baciamo le Mani – Palermo New York 1958, seppur ambientata in parte negli Stati Uniti, o Squadra Anti-Mafia Oggi. L’isola più grande del Mediterraneo non è quella dipinta, a cadenza settimanale, sui piccoli schermi di mezza Italia da qualche anno a questa parte. La Sicilia non è “coppole e lupare”, fortunatamente è ben altro». Secondo lei, può la tv aiutare a estirpare il “sistema”? E se sì, come? «La tv è un importante mezzo di comunicazione poiché riesce a raggiungere ampie fasce di pubblico, dalle più colte alle meno colte, senza distinzione di età o genere. Per questo motivo, se sfruttata al meglio, può fare la sua piccola parte per migliorare la società».