Taormina. La malìa di Parigi e l’omaggio letterario, appassionato ed appassionante, dell’ennesimo suo amante stregato dalla luce del cielo coloro cobalto, dalle “finestre d’ardesia”, dai tetti trapunti di comignoli, dall’atmosfera magica che impregna rues e boulevards dei suoi venti arrondissements brulicanti di varia umanità, dove tracce e memorie dei grandi personaggi che vi hanno nel tempo abitato sono amorevolmente segnate ed i loro passi ripercorsi. E’ la Parigi dello struggente romanzo “Solo a Parigi e non altrove” (ed. Ad Est dell’Equatore), geografia sentimentale della metropoli francese firmata da Luigi La Rosa, giornalista, scrittore, curatore di numerose pubblicazioni, insegnante di scrittura creativa, siciliano che ha eletto la Ville Lumière a patria affettiva, “città-rifugio” cui sempre ritorna. E che sabato 7 marzo, alle 17.30, nella accogliente sala “Le Naumachie” dell’Hotel Isabella, la giornalista Milena Privitera presenterà nell’ambito di “SPAZIO al SUD”, il cartellone culturale dell’associazione “Arte & Cultura a Taormina”, presieduta da MariaTeresa Papale, che sfoggia la sponsorizzazione dell’Associazione Albergatori di Taormina, il patrocinio del Comune di Taormina, Taormina Arte, Associazione Imprenditori Per Taormina, la partnership di “Gais Hotels Group”e “Piazza Dalì”. Una Parigi “artistica” sconosciuta ai più – frutto di tre anni di ricerca affinché tutte le tessere del puzzle fossero trovate e messe al loro posto – palesemente lontana dalla Parigi “cartolina” di frettolosi turisti mordi- e- fuggi. Un libro, sorta di Baedeker sentimentale, di mappa topografica del cuore completa di indirizzi e stazioni di metro di riferimento, al servizio di una Parigi mitica “fiesta mobile”e di un La Rosa nostalgico “flâneur”, malinconico protagonista, che la percorre in lungo ed in largo tratteggiando con maestria una cinquantina di intensi cammei di pittori, fotografi, artisti, scrittori: il Gotha dell’Arte che tra l’800 ed il ‘900 fece di Parigi la capitale mondiale della Cultura, rendendo immortale la sua magia. Ed ecco allora un susseguirsi di luoghi che rivelano orme di “giganti” del passato: strade, piazze, persino cimiteri. Da quelli famosi di Montmartre, Montparnasse, del Père Lachaise a quello, minuscolo e pressoché ignorato dalle moltitudini, di Saint-Vincent di rue Gaulard, giusto di fronte a quel “Le Lapin Agil”, ritrovo della bohème artistica degli inizi del ‘900, dove la statua a grandezza naturale di una giovane fanciulla drappeggiata in un peplo e con una tavolozza in mano veglia sull’ultima dimora di granito rosato di un Maurice Utrillo, finalmente in pace accanto alle spoglie della moglie Lucie. Con il cuore all’inizio dolente per il compagno lasciato dietro di sé ed improvvisamente restituito al miracolo della passione amorosa dall’incontro con un giovane incrociato per caso in metrò, Luigi La Rosa mischia, intreccia e specchia ossessioni, languori e passioni che gli appartengono con quelle dei tanti personaggi famosi che hanno abitato Parigi. Restituendo loro voce e fisicità. E’ così che, seguendo il fil rouge dei loro amori, spesso infelici, le fantasmatiche silhouettes di Baudelaire, Nadar, Dalì, Verlaine, Rimbaud, Hemingway, Joyce, Modigliani, Lorca, Gustave Moreau, Hugo, Max Jacob, Picasso, Delacroix ed altri ancora prendono vita e consistenza nell’oggi, disvelando tormenti e fragilità. Affidandosi supplice alle “Fate della Bellezza, uniche Muse della pariginità”, l’autore declina le figure di un tempo perduto con un nitore affabulatorio tale da renderle vive e palpitanti: ecco Camille Claudel, giovane amante abbandonata da Rodin, urlare contro l’ingiustizia e la cattiveria della famiglia che, mettendo per sempre a tacere il suo magnifico talento, l’ha costretta tra le feroci mura di un manicomio. Colpevole di aver osato scegliere un’arte, la scultura, dominio esclusivo degli uomini. Condannata perché donna indipendente. Ecco Belleville ed i gradini dell’angusto portone che vide nascere Edith Piaf, il “passerotto” di Francia che trasformò con la sua voce, ruvida e vellutata, malattie, dolori e tragedie della sua breve vita in un catartico Hymne à l’amour. Amore per l’Arte…Amore per l’amato…Amore per Parigi. Così anche per l’autore, dichiarato seguace della Bellezza di cui la città è intrisa. Ed è alla Bellezza, fuggendo ventenne dalle costrizioni di un pur economicamente rassicurante posto in banca, che egli ha votato la propria esistenza. Per dedicarsi anima e corpo alla letteratura. Vivere una vita alla ricerca delle sfumature che contano. Inseguire frammenti di estasi, attimi di completezza, devastanti e folgoranti al contempo e, per ciò stesso, irrinunciabili per chi, come lui, seguendo le proprie ossessioni, ha scelto di percorrere solo strade – professionali e dell’anima – segnate dalla passione. Una scelta difficile e dall’alto prezzo che, prendendo atto di una solitudine profonda, di una malinconica consapevolezza, fa di Luigi La Rosa un personaggio dal cuore ottocentesco, quasi romanticamente byroniano, uno di quegli “uomini di vento… creature senza famiglia… senza fissa dimora, senza fisse abitudini… senza fisse entrate, null’altro di fisso che gli imperativi delle proprie passioni – delle ossessioni, quelle inguaribili – e le leggi morali sotto cui ogni mattino flettono il capo, ringraziando il cielo di esserci”. Con “Solo a Parigi e non altrove” Luigi La Rosa ci fa dono non solo di una Parigi metafora di vita, ma di un romanzo dove l’Amore, assoluto protagonista declinato a più voci, è raccontato in un superbo italiano, smagliante e colto, da un talentuoso scrittore che conosce ed esibisce con generosità l’arte raffinata delle sfumature e sfaccettature linguistiche. Ovviamente, un libro da portare in valigia quando si va a Parigi; ma, nell’attesa, da tenere a portata di mano e rileggere, quando, lontano da lei, la nostalgia si fa prepotente. Perché è un libro per viaggiatori. Dell’anima.