Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita” (Ezra Pound).
Catania Anni ’50, Paolo Cormons, figlio di un professore di filosofia comunista, e Patrizia Scolaro, figlia di un ricco imprenditore legato alla vecchia gerarchia fascista, s’innamorano. Contro le differenze sociali, le opposte idee politiche e uno strano ed inspiegabile odio tra le due famiglie, i due giovani si amano tra mille difficoltà in una città che sta appena uscendo dalla Seconda Guerra mondiale. La loro storia poi è per ben due volte interrotta da una serie di sfortunate vicende giudiziarie: Mauro Scolaro, padre di Patrizia, infatti, è arrestato una prima volta a causa della sua militanza fascista nel 1944 e una seconda volta circa dieci anni dopo per il crollo di una palazzina costruita da lui in centro. La famiglia Scolaro, in entrambi i casi, si rifugia a Pieve di Cadore, paese natale di Rachele Morassi Renair, madre di Patrizia. La prima volta Paolo e Patrizia si rincontreranno a Catania ormai vent’enni e capiranno di essere fatti l’uno per l’altra; la seconda volta, invece, non si rivedranno più, pur amandosi per tutta la vita. Questa è in breve la trama de “Il vulcano spento”, del giornalista-scrittore catanese Piero Isgrò, una storia d’amore delicata e tormentata, che si svolge in una Catania del Dopoguerra, accuratamente descritta, una Catania lontana, antica, a volte troppo idealizzata. Più che una struggente storia d’amore, infatti, questo romanzo è l’affresco malinconico, nostalgico, ma sempre vivo e reale di una città rigorosamente in bianco e nero, in cui le viuzze profumano di gelsomino, il tram è l’unico mezzo pubblico per attraversarla, personalità della cultura e della letteratura la rendono famosa nel mondo, gli uomini si girano a guardare le donne per strada, facendo commenti di brancatiana memoria, il “Mongibello” la sovrasta distante in tutta la sua bellezza. L’uso, inoltre, di molte espressioni dialettali è funzionale e ci riporta in quella Catania di un tempo, insomma, in una città che, secondo l’autore, non esiste più, e che “spenta” ormai non esprime più la vitalità del suo emblema, appunto, il Vulcano. “Il Vulcano spento” è un’opera autobiografica, divisa in tre parti, nella prima la storia è narrata in prima persona attraverso la figura maschile di Paolo Cormons; nella seconda parte, breve ma incisiva, viene fuori il punto di vista femminile, quello di Patrizia Scolaro; l’ultimo capitolo – la terza parte – la storia, lasciando un certo amaro in bocca, cosa sarebbe successo ai due protagonisti se Paolo coraggiosamente avesse preso il treno e avesse raggiunto Patrizia a Pieve? Le cose non dette o non fatte sono quelle che rimpiangiamo per tutta la vita. Il racconto durante il lunghissimo viaggio (tre giorni e tre notti) che fa Patrizia nella seconda parte del romanzo, è una delle parti più intense e coinvolgenti. In treno, guardando fuori e intorno a sè, Patrizia rivive nei suoi pensieri tutta la sua storia d’amore con Paolo e attraverso questa retrospezione che il lettore entra in contatto profondo con il personaggio. La storia d’amore tra Paolo e Patrizia si colora persino di un misterioso giallo: Gennaro, un italo-americano, certamente mafioso, si scontra ed incontra con entrambi i protagonisti del romanzo, finendo ucciso o suicida, come dice il capo della Polizia di Catania. Certo è difficile per chi Catania l’ha vissuta negli Anni ’80 e ’90 accettare e condividere sino in fondo l’idea del meglio, molto meglio, “com’eravamo”, di questa fuga verso il passato e sconforto verso il presente.
Milena Privitera